Lorenzo Pezzoli, psicologo e psicoterapeuta  Il corpo, ogni corpo, occupa uno spazio, ogni corpo può essere toccato, ogni corpo può toccare. Il tatto ricopre il nostro corpo ed è l’unico senso autopercettivo, l’unico senso autoriflessivo, che tocca ed è toccato mentre tocca. Sul suo modello si formano tutte le altre riflessività, anche il pensiero e la riflessione, appunto. Per questo occorre partire dal corpo …dal corpo che occupa uno spazio. Ma quali sono i confini di un corpo?  Dove finisce un corpo? Per alcuni il corpo finisce dove arriva la pelle… oppure nelle mani di chi lo tocca. Magari un corpo trova i suoi confini nell’odore che emana occupando, in maniera più sottile, uno spazio ancora differente e più esteso di quello delimitato della pelle. Oppure il suo confine, il confine di un corpo, sta negli occhi di chi guarda, di chi osserva. O nemmeno lì… Forse un corpo finisce (o inizia) negli orizzonti che con la sua presenza evoca. E gli orizzonti evocati appartengono agli occhi che guardano più che (ed oltre) al corpo che si espone. Per questo siamo invitati attraverso la rappresentazione de La forme de l’âme ad effettuare un viaggio, invitati ad un percorso se l’evocazione di un viaggio dovesse apparire troppo impegnativa. Il viaggio, come il percorso, richiamano il movimento. Mai il corpo è fermo. Anche quando apparentemente non si muove, un corpo, è sempre un continuo  costante incessante movimento. Dunque siamo confrontati con questa performance con un percorso nella corporeità che, nelle sue misteriose e invisibili occupazioni di spazi fisici, di spazi sensoriali o di spazi psichici, sempre di spazi parliamo, costituisce la forma dell’anima: la forme de l’âme. Non è la nudità la protagonista, occorre attenzione nell’esposizione a questa mis-en-scène. La nudità non coincide con la corporeità che può, e spesso è, più perturbante della nudità en soi.  La nudità non è data semplicemente dall’assenza di vestiti ma dalla presenza, dalla imposizione, dall’affermazione della corporeità che orienta ad un’altra nudità che è quella personale, interiore, di chi guarda, la nudità altrui che apre al proprio intimo orizzonte, forse più perturbante e sconvolgente della nudità esposta dall’altro.  Nudo non è tanto il corpo di Elena Boillat ma è ciascuno nel momento in cui ascolta e da spazio alle emozioni che il suo corpo evoca. Nudo è ciascuno, pur nei propri vestiti, quando percepisce la corporeità che lo confronta senza veli con le emozioni più profonde e lo confronta con il tema che ogni corporeità porta implicitamente con sé, che è quello del morire. Questo è il viaggio di ogni corpo. Allora la precauzione che mettiamo quando esponiamo la nudità è dovuta. Invitato ad tutelarsi e magari a rinunciare di assistere a questa rappresentazione non è chi non sopporta di vedere un corpo nudo e neppure chi si sente offeso da esso. A loro questa esperienza certo potrà giovare facendo scoprire qualcosa di inaspettato. Invitato ad uscire dalla sala è invece chi teme il confronto con la nudità delle proprie emozioni. Il percorso del corpo è il percorso della nostra vita  dove il corpo che siamo è esposto al mondo esterno e al mondo interiore, due esposizioni complesse e dialoganti, spesso confliggenti. Come nel percorso proposto, il nostro corpo, in questo viaggio della vita, è costantemente in bilico tra promozione e condanna. Come i famosi protagonisti di due celebri romanzi di Kafka: il Processo e il Castello. Entrambi definiti con l’iniziale “K”: i Signori K. L’autore stesso, d’altro canto, era un “Signor K.”. Ma in fondo anche al corpo, al corpo organico, la lingua tedesca dedica una parola specifica in “K” che è Körper, anche lui sempre sulla soglia della Promozione e sulla soglia della Condanna ogni volta che il Körper si trova su questa soglia perde neutralità e diventa Leib, corpo vissuto e il corpo vissuto non può che essere condiviso.